Il percorso che porta dalla lettura alla scrittura si ripresenta con frequenza nelle riflessioni sulla letteratura di Virginia Woolf, la grande scrittrice inglese che con i suoi capolavori, La signora Dalloway, Gita al faro, Orlando e Le onde, ha dato uno dei contributi più originali e decisivi allo sviluppo del romanzo novecentesco. La lettura di un libro non è solo un’esperienza che racchiude un magnifico universo di sensazioni, ma può diventare un’arte che, sia pure “difficile e complessa”, attraverso le parole della Woolf si propone con spontaneità e freschezza. È quello che emerge da un suo saggio Come si legge un libro? scritto nel 1926, di cui vi proponiamo un brano.
Quali sarebbero i “libri giusti”? Apparentemente ci troviamo di fronte a una massa enorme, a un mucchio confuso. Poesie e romanzi, libri di storia e memoriali; dizionari e gazzette ufficiali; libri scritti in tutte le lingue da uomini e donne di ogni carattere, razza ed età fanno a gomitate sugli scaffali. […] Da dove dobbiamo cominciare? Come possiamo mettere ordine in questo enorme caos e riuscire a trarre da ciò che leggiamo il piacere più intenso e profondo?
È fin troppo facile dire, dal momento che i libri sono ripartiti in generi diversi – romanzi, biografie, poesia – che dobbiamo suddividerli e prendere da ciascuno ciò che esso può darci.
Tuttavia sono poche le persone che chiedono ai libri ciò che essi possono darci.
Più comunemente arriviamo davanti a un libro con le idee confuse e contraddittorie; chiedendo al romanzo di essere vero, alla poesia di essere fittizia, alla biografia di essere lusinghiera, alla storia di confermare i nostri pregiudizi.
Se riuscissimo a mettere da parte tutti questi preconcetti quando leggiamo, sarebbe già un inizio apprezzabile.
Non dettate al vostro autore; cercate di essere tutt’uno con lui. Siate il suo assistente e il suo complice. Se vi tenete in disparte e avete critiche e riserve sin dall’inizio, vi state negando la possibilità di trarre il massimo da ciò che leggete. Ma se aprite la vostra mente il più che potete, anche i segni e gli accenni più sottili e quasi impercettibili, a partire dal volgersi delle prime frasi, vi porteranno di fronte a un essere umano diverso dagli altri.
Immergetevi nelle sue pagine, cercate di conoscerlo bene, e ben presto scoprirete che il vostro autore vi sta dando, o quantomeno sta tentando di darvi, qualcosa di molto preciso.
I trentadue capitoli di un romanzo – se vogliamo prima di tutto considerare come si legge un romanzo – sono il tentativo di costruire qualcosa di non meno bilanciato e strutturato di un edificio; ma le parole sono più impalpabili dei mattoni; leggere è un processo ben più lungo e complicato del guardare. Forse il modo più sbrigativo per capire tutti gli aspetti del lavoro di un romanziere non è leggere, ma scrivere; sperimentare personalmente tutti i rischi e le difficoltà delle parole.
Provate allora a rievocare qualche evento che abbia lasciato una forte impressione dentro di voi – anche solo due persone che parlavano all’angolo della strada. Un albero che ondeggiava; un lampione elettrico che vibrava, il tono di quella conversazione era comico, ma anche tragico; un’intera visione, un’intera concezione di vita sembrava racchiusa in quell’istante.
Ma quando tentate di ricostruirlo a parole, vi accorgerete che esso si frantuma in mille impressioni contrastanti. Alcune vanno attenuate; altre accentuate; e in questo processo potete anche perdere ogni presa sull’emozione iniziale.
Provate ora a passare dalle vostre cartelle confuse e sparpagliate alle pagine iniziali di qualche grande romanziere; Defoe, Jane Austen, Hardy. Adesso potete apprezzare meglio la loro padronanza nello scrivere. Non ci troviamo solo di fronte a una persona diversa – Defoe, Jane Austen, Thomas Hardy – ma viviamo in un mondo diverso.
Qui, in Robinson Crusoe, avanziamo lentamente lungo una scorrevole strada maestra; una cosa succede dietro l’altra; bastano i fatti e l’ordine dei fatti. Ma se la vita all’aperto e l’avventura sono tutto per Defoe, esse non hanno alcun valore per Jane Austen. Il suo regno è il salotto, la gente che parla, e che attraverso i mille specchi della conversazione rivela il proprio carattere.
Ma se, dopo esserci abituati al salotto e ai suoi riflessi, ci rivolgiamo a Hardy, ci ritroviamo di nuovo sradicati. Siamo circondati dalle brughiere, con le stelle che brillano sopra di noi.
Ora ci viene mostrato un altro aspetto della mente: il lato oscuro, che prevale quando siamo soli, non il lato luminoso che si manifesta quando siamo in compagnia. Adesso non ci rapportiamo più alle persone, ma alla natura e al destino. Eppure, per quanto siano diversi questi due mondi, ognuno di essi ha una sua coerenza interna. Chi li ha creati sta attento a osservare le leggi che la sua prospettiva gli impone, e per quanto grande sia lo sforzo che ci chiede, non ci confonde mai le idee, come spesso fanno gli autori minori, inserendo due tipi diversi di realtà nello stesso libro […]
Leggere un romanzo è un’arte difficile e complessa.
Bisogna possedere non solo una percezione finissima, ma anche un’immaginazione ardimentosa se si vuole godere di tutto ciò che il romanziere – il grande artista – ci offre.
(Virginia Woolf, Come si legge un libro?, trad. Daniela Daniele, in Ore in biblioteca e altri saggi, a cura di Paola Splendore, La Tartaruga, 1991).