Era intorno all’anno 30
o suppergiù
quando, casualmente,
conobbi Gesù.
Era un giovane uomo
dalla pelle olivastra,
ma in seguito sbiancato
nell’era iconoclasta.
Guardava
la mia macchina del Tempo
e rideva divertito
nel contempo,
con quel suo sguardo
che sapeva d’infinito.
Non gli feci mai domande
e tutto ciò che gli vidi fare
mi sembrò
miracolosamente normale.
Non mi parlò mai
se non con lo sguardo
e ovunque andammo
i miei passi erano così leggeri
che mi sembrava di fluttuare
nell’aria dei suoi pensieri.
E il mio pensiero fisso
fu di portarlo con me
per non vederlo crocifisso.
E già lo vedevo
tenere apostolato
al Parlamento,
sui sette colli,
nel Senato.
Ma poi pensai
che fosse ancora peggio
che davanti a Pilato,
e che dei burattinai
dal romano seggio
l’avrebbe certamente condannato.
Però sapevo bene
non avrebbe acconsentito,
perché aveva una missione
che in cuor lo sosteneva.
Morire sulla croce
per la nostra redenzione.